Collettanea

Appunti in ordine sparso

Mese: febbraio, 2013

Età della vita, età delle cose – Remo Bodei, Trento, 1 giugno 2012

Riassunto dell’intervento di Remo Bodei al Festival dell’Economia dei Trento il 1° giugno 2012.

Nelle società contemporanee
è mutato il ruolo degli anziani
(Immagine di leroys).

La parola « imbecille » deriverebbe dal latino in– e baculum, ‹ bastone ›, cioè ‹ che si regge col bastone › oppure, con prefisso in– sottrattivo, ‹ che è privo del bastone ›, cioè del sostegno.

Per gli antichi l’infanzia è un tormento, perché era il periodo della vita in cui i bambini venivano picchiati. Il cardinale Pierre de Bérulle, contemporaneo di Cartesio, disse che la vera Passione di Cristo fu l’aver trascorso l’infanzia, non l’aver sofferto la crocefissione.

Anticamente, a partire da Aristotele, si sviluppò la tripartizione delle età della vita: la giovinezza, caratterizzata da eccesso di passione; la maturità, età delle pienezza e della medietà; la vecchiaia, che si distingue per carenza di passione.

Aristotele, nel secondo libro della Retorica, divide l’età dell’uomo in tre fasce. Agostino arriverà a contarne sei. Le prime crepe in questa tripartizione della vita si notano nel Seicento, dopo le grandi pestilenze.

Da questo periodo, l’infanzia incomincia a staccarsi dalla giovinezza, nella quale era prima ricompresa. La scoperta dei telomeri ha fatto comprendere come la vita sia una specie di « suicidio programmato », in quanto questi telomeri si accorciano a ogni riproduzione cellulare. Oggi si stanno progettando metodi per impedire o rallentare questo accorciamento, permettendo cosí un allungamento della vita. (C’è però da dire che è la solitudine a far paura quando s’invecchia, piú che la prospettiva stessa della morte: la solitudine del morente rende la vecchiaia piú drammatica.)

I progressi della scienza aprono a scenari futuribili, come quello dello human enhancement, l’« arricchimento umano », che promette, nel volgere di alcuni decenni, di migliorare l’efficienza degli organi attraverso l’impianto di microcircuiti.

Con Freud tramonta l’idea dell’innocenza dell’infanzia. Essa viene ora smitizzata, anche se già negli antichi, come abbiamo visto, era mal vista, sebbene per motivi non scientifici. Tramonta l’idea classica di natura umana: si va verso un antidestino e un cambiamento della struttura delle età della vita.

Oggi, l’infanzia è prolungata e la vecchiaia negata, laddove, nell’antichità classica, quest’ultima era il culmine della vita umana. Oggi, inoltre, a differenza che in antico, sarebbe una tragica ironia affermare che i giovani sono caratterizzati dalla speranza e i vecchi dall’assenza di speranza. I figli e i nonni erodono lo spazio della maturità.

Nel salmo 89 della Bibbia si dice: « Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti » 1. Nel salmo 127 si parla di « figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa » 2.

Dante, nel Convivio, immagina la vita come un arco. Gli Oeconomica, attribuiti a Aristotele ma probabilmente opera di un suo allievo, rappresentano il modello della oikonomía fino al Seicento: vi si afferma che, fino ai primi trentacinque anni, i genitori aiutano i figli; poi, sono i figli a aiutare i genitori. Lo Stato sociale ha aggirato questo modello.

Con lo Stato sociale si è verificato lo spostamento dalla reciprocità della famiglia alla società. Lo Stato sociale fu inaugurato da Bismarck in Germania; in Italia, da Giolitti nel 1900, col « chinino di Stato ». La crisi economica ha accentuato il declino dello Stato sociale e si è evidenziato che lo sdoganamento dei desideri, il consumismo, è finito.

L’incertezza del futuro fa accantonare il consumismo. Si restringe il ruolo e il senso della maturità. Il « forever young » di Bob Dylan è stato accolto da tutte le categorie d’età. Il declino della figura paterna già notato da Adorno ha fatto sí che il vuoto venisse riempito dai capi carismatici delle dittatura totalitarie.

I padri che si comportano come fratelli o amici fanno di tutto per evitare i traumi e le difficoltà della vita. Christopher Lasch scrisse in Haven in a Heartless World (1977) che un aumento della legittimazione dei rapporti orizzontali costringe a continui patteggiamenti.

In Giappone, i nonni furono una figura centrale per millenni; l’assorbimento della tradizione europeizzante ha eroso il rapporto coi nonni. Il nonno ha (aveva) una funzione vicaria verso i genitori. I nonni però non esercitano autorità, che è lasciata ai genitori.

Nel 1840, lo stesso Tocqueville notò questo mutamento della figura paterna, la fine del legame verticale col passato, nelle società democratiche come gli Stati Uniti. Il singolo è immemore dei suoi avi e irresponsabile verso i suoi discendenti: rischia così di restare murato nella solitudine del suo cuore.

In Danimarca, l’ottanta per cento dell’eredità va allo Stato, che redistribuisce il reddito grazie allo Stato sociale. Il problema della trasmissione dei beni deve entrare nell’ottica di una distribuzione. Il testamento stabilisce un legame materiale fra generazioni.

Vengono trasmesse tracce di vite precedenti, con un scambio che risponde alla logica del dono. La stessa logica del dono dovrebbe entrare anche in famiglia. Essa dovrebbe sostituire il do ut des: le Tre Grazie (secondo l’interpretazione data da Seneca) rappresentano un circolo virtuoso, quello del dare, del prendere e del restituire.

In Romeo and Juliet, la protagonista dice che più dona più riceve, in una cripto-citazione di Seneca. Serge Latouche sostiene la necessità di arrestare la moltiplicazione dei desiderî, per abbracciare un’« abbondanza frugale ».

I desiderî dovrebbero essere sostituiti da risorse immateriali. Segno questo – qualunque ne sia l’esito – che lo sviluppo non può andare avanti all’infinito, ma la soluzione è la redistribuzione attraverso le generazioni. Dante sostiene l’orgoglio di dare di più di quel che si è ricevuto. Nel De Monarchia, ricordando le parole di Brunetto Latini (che affermò che dobbiamo fare tesoro della cultura perché non ci potrà mai essere tolta), egli dice che chi fa così è come una voragine che accumula senza restituire, mentre Dante, con la sua Divina Commedia, ridette più di quel che ricevette.

Dante applica questo modello a sé stesso. Il dono, però, ha anche un effetto perverso, come nel caso del potlach. Autorità deriva da « augeo », ‹ aumento ›. Essa è « più che un consiglio e meno che un ordine ». Esprimere un ordine diminuisce l’autorità, perché implica l’esercizio di un certo grado di violenza, che serve ad applicare la propria autorità.

Siamo oggigiorno in una società toyotista, la società della produzione « just-in-time »: la pubblicità fa ricadere sul consumatore il destino dell’economia, che ha bisogno di consumo per esistere.

Ci sono due tipi di consumismo: quello del consummare, ‹ sommare insieme, portare a compimento, finire ›, e del consumĕre, ‹ distruggere, esaurire, spendere ›. Il primo è il consumismo buono, il secondo quello cattivo.



1 « Dies annorum nostrorum sunt septuaginta anni
aut in valentibus octoginta anni » FONTE

2 « filii tui sicut novellae olivarum
in circuitu mensae tuae » FONTE

Riassunto dell’introduzione al Simposio di Platone, ed. Einaudi

Il Simposio è uno dei dialoghi erotici del corpus platonico. In esso si chiarisce la natura di eros in quanto figura del filosofo e collaboratore di quest’ultimo nel cammino che conduce alla contemplazione delle idee. 

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Platone, Simposio, Einaudi, riassunto

Nel 416 a.C. il poeta tragico Agatone vince una gara di poesia alle feste Lenee di Atene. Organizza quindi un banchetto per festeggiare questa sua vittoria. I partecipanti – oltre ad Agatone, il medico Erissimaco, il retore Pausania, l’amante dei discorsi Fedro, il poeta comico Agatone e Socrate, con l’incursione finale dello stratego Alcibiade – si sfidano l’un l’altro nel fare l’encomio di eros, che, si dice, non era stato ancora lodato in maniera adeguata.

L’amore di cui si parla è legato all’istituzione della pederastia, cioè del rapporto didattico e amoroso tra un maschio adulto e libero (erastês, ‹ amante ›) e un ragazzo (erômenos, ‹ amato ›). Nella visione tradizionale, che Platone contesterà, il ragazzo – cui non è concesso di provar desiderio né di essere attivo nel rapporto sessuale – si concede fisicamente all’amante, ricevendone in cambio insegnamenti che lo conducano alla virtú.

Fedro. Il discorso di Fedro comincia asserendo che eros è il più antico degli dèi ed è privo di genitori. La sua azione ispira vergogna e senso dell’onore: le azioni dell’amante e dell’amato sono cosí messe sotto controllo da questi due sentimenti. Ma solo l’amante è ispirato dal dio, per questo è disposto a dare la vita per l’amato. La visione di Fedro è ancora legata alla visibilità dei comportamenti e a quella che Eric Dodds chiama la « cultura della vergogna ».

Pausania. Eros, dice Pausania, non è unico. Dal momento che esistono due Afroditi – Afrodite Urania, la piú antica, che si rivolge solo verso i ragazzi e verso le anime; Afrodite Pandemia, la piú giovane, che si rivolge indistintamente verso uomini e donne e si concentra sui corpi –, esistono anche due tipi di eros che riflettono quella divisione.

Il gesto del concedersi da parte dell’erômenos è, di per sé, neutro, né bello né brutto. È il modo in cui ci si concede che è bello o brutto: se il ragazzo si offre per ricevere un’educazione alla virtú, compirà un atto bello, che tale rimarrà anche se sarà ingannato (« bello si rivelerebbe l’inganno » 185b).

Che il gesto, in sé, non abbia connotazione alcuna è del resto dimostrato – dice Pausania – dalle differenti leggi che normano la pederastia nelle varie zone della Grecia. In Elide e in Beozia, regioni carenti di abili oratóri, si facilitano i rapporti dichiarando il concedersi sempre bello: in questo modo anche un amante incapace di persuadere con le parole potrà trovare soddisfazione.

In Ionia, invece, si considera il concedersi sempre brutto, perché colà i governanti sono tiranni e vogliono quindi evitare che, attraverso il rapporto di amicizia, si possano creare rivolte al loro regime, come accadde con Armòdio e Aristogítone.

Ad Atene, invece, eros è considerato sia bello, perché si tratta con indulgenza l’amante in preda a follia amorosa, sia brutto, perché si mette in guardia l’amato contro le insidie di un amante insincero.

Erissimaco. Il medico Erissimaco impronta il suo discorso sulla sua stessa tecnica, quella della medicina. Rispetto a Pausania, però, allarga la visione al cosmo intero. Eros pervade tutte le cose, ma esiste un eros buono e un eros cattivo. Quello buono è principio di armonizzazione tra dissimili; il medico è in grado di presiedere a quest’armonizzazione.

Aristofane. Il mito dell’androgino raccontato da Aristofane, se contrasta la concezione di Erissimaco di un’armonizzazione tra dissimili, giustifica la forza del sentimento amoroso. In principio, gli esseri umani erano sferici, avevano quattro gambe, quattro braccia, due teste rivolte in senso contrario. Tre erano i sessi: maschio, femmina e androgino. Gli esseri umani, allora, erano formidabili, tanto che provarono ad assaltare l’Olimpo.

Zeus puní questa loro irriverenza tagliandoli in due. Da quel momento, ciascuna metà avrebbe cercato di ricongiungersi all’altra, uomini con uomini, donne con donne, uomini con donne. Ma, quando le due metà si congiungevano, desideravano solo rimanere insieme senza trovare soddisfazione e senza pensare ad alimentarsi e a occuparsi d’altro; e cosí morivano.

Zeus allora s’impietosí: spostò gli organi genitali in modo tale che gli esseri umani potessero unirsi nell’atto sessuale. Coloro che in origine erano androgini avrebbero allora generato figli; le due metà dell’uomo e della donna, invece, avrebbero trovato una momentanea soddisfazione del loro desiderio che avrebbe permesso loro di dedicarsi alle occupazioni del vivere.

Agatone. Il discorso piú atteso è quello di Agatone, ospite e vincitore dell’agone poetico. Egli sostiene che Eros è il piú giovane degli dèi, ed è bello, temperante, coraggioso e sapiente.

Socrate. Il discorso di Agatone viene smontato da Socrate. Eros non è bello, perché è desiderio e il desiderio evidenzia una mancanza e tende a colmare quella mancanza. La sapienza erotica di Socrate – l’unica forma di sapienza in cui egli dirà di essere versato – è dovuta, dice, a una sacerdotessa di Mantinea, Diotima.

Ella gli rivelò la genealogia di Eros, che non è bello né sapiente, e non è nemmeno un dio, ma un demone, un essere intermedio fra gli dèi e gli uomini. Eros nacque dal rapporto tra Penia (povertà) e Poros (risorsa), avvenuto durante il banchetto che celebrava la nascita di Afrodite. Cosí, si capisce perché eros sia povero, ma tenda sempre a impadronirsi della bellezza usando espedienti e macchinazioni.

Ma eros non è neanche desiderio del bello: è desiderio di procreazione nel bello. Se gli esseri umani non solo desiderano il bello, ma desiderano anche possederlo stabilmente; e se la sola forma di possesso stabile, cioè d’immortalità, loro concessa è quella della procreazione, allora eros non potrà che spingere a procreare nel bello. E la procreazione non è intesa solo in senso fisico. Coloro che sono « gravidi », dice Diotima, secondo il corpo, procreeranno figli; coloro che sono « gravidi » secondo l’anima, procreeranno discorsi e virtú.

Tra questi ultimi c’è il filosofo. Egli, percorrendo la scala amoris fino in cima, raggiungerà la contemplazione delle idee in sé: dall’amore per un corpo bello passerà a quello per la bellezza di tutt’i corpi; poi proseguirà a contemplare la bellezza delle anime, delle leggi, delle scienze e, infine, la bellezza in sé.

Alcibiade. Irrompendo improvvisamente nel banchetto, Alcibiade interrompe le lodi che i presenti stavano facendo al discorso di Socrate. Entra ubriaco, accompagnato da festaioli, ed è invitato a fare anche lui l’elogio di Eros. Ma dice di voler fare, invece, l’encomio di Socrate. Nel suo discorso ripercorre le vicende puntuali e particolari della sua storia con Socrate.

Alcibiade è cosí avvinto dalle qualità di Socrate, di cui è erômenos, da arrivare a comportarsi come erastês. Gli tende insidie perché gli trasferisca la sua sapienza, ottenendone però un secco rifiuto. Per Socrate, Alcibiade è ancora troppo amante degli onori terreni; è inadatto alla ricerca della sapienza perché è ancora legato al modello erastêserômenos, in cui il primo trasferiva tutto il suo sapere al secondo, in un rapporto diseguale.

Socrate, invece, desidera che Alcibiade si avvii alla vera sapienza: il percorso per arrivarci è un progressivo perfezionamento individuale attraverso la dialettica, non un passivo « indottrinamento » da parte di qualcuno considerato « sapiente ».