Virgilio, Eneide I 1-33, Saggio

di Giampaolo Donini

Di Meghan Reedy (Dickinson College)

Come salta immediatamente all’occhio, l’Eneide non è un racconto che lascia col fiato sospeso. Anzi, nei primi sette versi del poema si rivelano tutt‘i contorni della trama e il suo significato. Sappiamo infatti fin dal principio che è una storia di guerra, arma, e che ha un solo personaggio principale, virumque; sappiamo che l’autore avrà un suo spazio, poiché dice cano, «io canto»; sappiamo che l’uomo, il vir, lasciò i lidi di Troia, Troiaeab oris, e che approderà in Italia, Italiam… venit; sappiamo subito che è costretto dal destino a compiere il suo viaggio, fato profugus; soffre molti affanni, per terra e per mare, prima di arrivare alla sua destinazione, multum ille et terris iactatus et alto; che combatterà una guerra, multa quoque et bello passus; ma sappiamo altresí che riuscirà nella sua impresa, dum conderet urbem, e che dalla sua città avrà cominciamento Roma, alta moenia Romae. Sappiamo infine che lo spostamento da Troia a Roma sarà difficile (pel viaggio e per la guerra) a cagione dell’opera di forze divine avverse, di Giunone in particolare, vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram.

Se proseguiamo nella lettura non è dunque perché vogliamo scoprire come andrà a finire. Poiché il principio e la fine della storia sono già stati rivelati con dovizia di nomi (l’inizio è posto a Troia, Troiae… oris; la fine trova collocazione in luoghi variamente nominati, Italia, Lavinia litora, Latium, gentem Latinum, Albani patres, Roma), siamo invece invitati a chiederci quali avvenimenti verranno narrati nel mezzo: le traversie di quest’uomo tormentato dall’ira di Giunone e costretto a far guerra.

Ci potremmo anche chiedere perché quest’uomo sia sbattuto a destra e a manca, che cosa avrà mai potuto attirargli tanto odio da parte di una dea. Virgilio quindi chiede alla Musa di rammentargli o dirgli la risposta a questa domanda: perché quest’uomo è tanto tormentato da questa dea? Che cos’ha provocato la memor ira della saeva Iuno? Nell‘Odissea di Omero la risposta alla domanda sul motivo per cui Posidone tormenta Ulisse e gl’impedisce di tornare a casa è una storiella divertente: egli e i suoi uomini visitarono il figlio monocolo di Posidone, il ciclope gigante Polifemo, il quale divorò alcuni dei visitatori, e riuscirono a fuggire accecandolo. Posidone diede cosí l’assillo a Ulisse perché questi gli aveva accecato il figlio. Ci si potrebbe dunque aspettare che la risposta alla domanda «Perché Giunone dà l’assillo a Enea?» sia anch’essa una storia, forse anche piú lunga.

Ma il modo stesso in cui Virgilio formula la domanda frustra quest’aspettativa: mihi causas memora, dice, quo numine laeso quidve dolens regina deum tot volvere casus insignem pietate virum, tot adire labores impulerit. La domanda ci dice che l’origine della rabbia di Giunone è il dolore, una certa ferita (laeso), o un continuo rammarico, una continua sofferenza (dolens); tuttavia, le nostre aspettative vengono ancora sconvolte quando ci viene detto che la sua rabbia alimentata dal dolore la porta a perseguitare un uomo innocente, il cui comportamento è esemplare, insignem pietate virum.

L’ira di Giunone non deriva neanche da un’interazione passata fra lei e il vir (come accade nell’Odissea). Allo stesso modo, è implicito che la risposta alla domanda «Perché Giunone è adirata?» non darà vita a una storia che sarà parte della narrazione principale. La domanda di Virgilio alla musa ai versi 8-11 è formulata in modo tale da escludere la possibilità che la ragione dell’ira di Giunone sia parte della narrazione. Ciò nonostante, l’incredulità e l’urgenza della domanda culminante al verso 11, Tantaene animis caelestibus irae?, suggerisce che le ragioni di Giunone sono un antefatto indispensabile. Se non sappiamo che cosa l’ha fatta montare in ira a tal punto da affliggere tanto crudelmente un uomo tanto pio, la narrazione rischierebbe di essere rovinata dall’incredulità.

Molti commenti sul proemio dell’Eneide si concludono qui, al verso 11. Le domande ai versi 8-11 sono state considerate a ragione come l’espressione di un tema che riecheggia attraverso l’epica, un tema che si concreta in domande aperte, perfino prive di risposta. Se però ci fermassimo qui, rischieremmo che le risposte fornite ai versi 12-33 siano o estranee alla delineazione dei versi 1-11, oppure parte della «storia propriamente detta», qualcosa di ovvio, di poco importante o interessante. Ma non è cosí.

Giunone è adirata, ci viene detto, per diverse ragioni, nessuna delle quali ha che fare con qualcosa che Enea stesso ha commesso. La cosa piú significativa, importante, pertinente è esposta nel dettaglio in oltre dieci versi (12-22). L’amore che Giunone porta a Cartagine è sottolineato con forza (15-18), cosí come la collocazione della città, nello spazio e nella storia, di contro all’Italia (contra, v. 13). La dea conserva lí, in quella città, le sue armi e il suo carro (hic illius arma, hic currus fuit, vv. 15-16), e l’ha già a cuore (iam tum tenditque fovetque, v. 18). Ella però ha sentito dire che dalla progenie di Troia sarebbe sorto un popolo, e che questo popolo avrebbe portato distruzione alle città tirie in Libia (19-22); ha sentito dire anche che questo è il volere del Fato. E Giunone teme questo futuro decretato dal Fato, id metuens (23); e il suo timore del futuro si abbina alla sua memoria del passato: ella ha combattuto pei suoi cari Greci a Troia, e l’ira verso Troia non è ancora svanita, necdum etiam causae irarum saevique dolores exciderante animo; il giudizio di Paride, che scelse Venere e non lei, è ancora ben vivido nella sua mente, manet alta mente repostum; Giove nominò il giovinetto troiano Ganimede suo coppiere, preferendolo pubblicamente a Giunone. Ciò che la fa adirare è dunque l’insieme della sua paura di ciò che accadrà e la sua incapacità di dimenticare quello che è appena accaduto. Accesa da tutto ciò, his accensa, ella dà per anni la caccia a ciò che resta dei Troiani.

La fine della risposta sunteggia il tutto cosí: Tantae molis erat Romanam condere gentem (v. 33)

Un momento. E qual è il sunto di tutto? Tanta era la fatica di fondare il popolo romano. E qual era questa fatica? E di chi si parla? Dei nostri due protagonisti, immensi e ineguagliati, Giunone ed Enea, colti quasi per coincidenza allo stesso momento, spinti e circondati dallo stesso destino, la futura Roma: Giunone si scaglia contro il fato, Enea prova a fissarvi lo sguardo. Costoro formano un’unione inestricabile nello svolgersi della narrazione.

PER APPROFONDIRE

Anderson, W.S. 2005. The Art of the Aeneid 2nd ed., 1–23. Wauconda, IL: Bolchazi-Carducci.

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FONTE