Il supermercato compie 610 anni

[Tratto dall’Arena]

LEGNAGO – Fu Gian Galeazzo Visconti nel ’300 a stabilire che si svolgesse ogni sabato

 

• Il progenitore degli attuali grandi magazzini era e rimane il più importante centro di vendita della Bassa • Anzi nel 1438 faceva invidia persino a Verona, che così si lamentava con il Senato della Repubblica Veneta: «I legnaghesi al presente son ricchi e di giorni in giorno più ricchi diventano» • Lo frequentavano personaggi vecchi e nuovi • Il «picia qua la man» del mediatore • Le madonnine di gesso del «Mando» che dovevano restare incartate fino a casa per «otener la grassia» • Leopoldo Cavazzana e la «povera ragassa sedota e abandonata», inventata per smerciare callifughi • Le «tle clavatte per una lila» vendute dai cinesi che alloggiavano all’albergo Cavattoni • Il «torototela»

 

Quest’anno il mercato di Legnago compie la bellezza di 610 anni. Anniversario importante anche perché Gian Galeazzo Visconti, con sua patente del 13 aprile 1394, rimise in vigore il mercato, stabilendo che fosse tenuto al sabato.

Anche in precedenza Legnago era stato un conosciuto centro di affari. Già prima della conquista romana qui si incrociarono varie popolazioni come provano i resti di palafitte semi-fossilizzate (trovate nel 1934 durante i lavori di rinforzo degli argini dell’Adige) e terracotte dell’età del bronzo.

Dalla metà del V secolo alla metà del II secolo a.C. questa parte di territorio veronese doveva essere già convenientemente bonificata; vi regnava un’adeguata vita agricola. Nei primi anni della bonifica nei dossi della valle (accampamenti militari romani) furono raccolte monete e nelle esplorazioni delle piccole necropoli si riscontra sovente la presenza di suppellettili e di ceramica varia.

Dopo l’impaludamento della rotta d’Adige del 589, al ritirarsi delle acque rimasero poche terre coltivabili lungo il nuovo corso del fiume, arginato nel letto attuale dai Benedettini. I primi nuclei abitati ricomparvero a ridosso degli argini del fiume (come Legnago, Porto, Angiari, Vigo, Villabartolomea, Carpi, Begosso, Castagnaro).

A poco a poco, il villaggio su palafitte divenne paese ed emerse sui centri vicini; il fiume venne attraversato da un ponte di legno a difesa del quale fu eretto un castello (uno a Legnago e uno a Porto). Tale punto strategico con il ponte e il suo fiume segnò dunque il destino di Legnago, ma certamente fu il mercato a dare incremento e far prosperare l’Economia e il commercio.

Al porto sul fiume approdavano le imbarcazioni provenienti dall’Adriatico con carichi soprattutto di sale e pesce della laguna, olio, vettovaglie di prima necessità. Da Legnago partivano carni, prodotti dell’artigianato locale (seta e ceramiche), legname tagliato nei boschi e vari prodotti dell’agricoltura.

Erano tanti gli affari conclusi che c’era perfino un barcone apposito, di proprietà del Comune, per il trasporto della merce venduta per Verona e gli altri centri rivieraschi. Nel 1438 Legnago era già così ricca e il suo mercato così famoso da far invidia a Verona. Di ciò i veronesi si lamentarono presso il Senato della Repubblica Veneta e scrivevano: «I legnaghesi al presente son ricchi e di giorno in giorno più ricchi diventano, godendo di molti privilegi e grazie di emolumenti straordinari», e per ciò i veronesi chiedevano l’abolizione di tali privilegi, l’imposizione di nuove tasse.

Eppure la prosperità odierna è il frutto conseguente di tale remoto sviluppo, della laboriosità dei suoi artigiani, delle genti che vissero amorosamente nella cittadella di allora. E se è sempre stato fiorentissimo, il mercato del sabato fu anche pittoresco: oltre ai mercanti, ai mediatori e compratori convenivano sempre caratteristici personaggi che con i loro mestieri popolari davano colore e vivacità all’ambiente.

Ogni sabato, nei borghi e nei vicoli del centro cittadino, lo spettacolo del mercato si ripete dunque da secoli. Qui gli uomini d’affari sono i primi attori. Portano il giacchettone, la lunga sciarpa a collo, si soffiano il naso rumorosamente, tossiscono, si tirano per la giacca. Il «picia qua la man» del mediatore, dai pomelli accesi, che contratta la vendita del podere o della casetta, è la stessa voce che nel medesimo punto contrattava decenni e decenni fa.

Venivano quel giorno i venditori ambulanti con fagotti e valigie rattoppate legate sul manubrio della bicicletta. C’era un tempo il simpaticissimo Armando Protti, «el Mando», con un grosso cartoccio di madonnine fatte di gesso: per le frequenti scosse ricevute, quasi tutte erano mutilate di mani o di braccia. Vendeva quelle incartate e raccomandava alla buona massaia di tenerle bene avvolte sino a casa «se la vol otegner la grassia». Poi «el Mando» non si vedeva più sino alla nuova stagione…

Ricordo con un brivido di ammirazione, di un uomo che mangiava i vetri rotti e sputava lingue di fuoco dalla bocca, o di un altro con braccialetti di cuoio ai polsi e braccia tatuate che spezzava una catena di ferro stretta intorno al petto solo gonfiando i muscoli del torace.

Parecchia attenzione offriva il gioco dei tre «bussolotti», maneggiati con impareggiabile destrezza da un distinto giocoliere. La sua astuzia consisteva nel fra credere agli astanti in quale «bussolotto» nascondeva il misterioso dado. Tra la gente emergeva il consueto «compare» che puntava e raccoglieva poi le lirette messe sul banco dei vari scommettitori stralunati dalla gran voglia di vincere.

In questo piccolo schedario della memoria dei «liberi professionisti della strada» non dimentico un pellegrino di paese che intratteneva la gente con le sue canzoni rievocanti nozze e tragedie, battaglie e commedie. Era «Poldo», Leopoldo Cavazzana, che vendeva erbe mediche, callifughi, saponi e lamette. Richiamava la gente stornellando antiche storie di ignoti personaggi dipinti su un grande pannello di legno, diviso a scomparti: «Nel primo quadro i loro signori possono vedere la povera ragassa sedota e abandonata, scaciata dal padre…». Al secondo e al terzo quadro la gente era già attratta dal racconto ed anche, infine, soddisfatta delle compere.

La gioia dei ragazzi era un vecchietto dal volto rossiccio; si presentava per le vie portando, fissato ad un’asta, un goffo fantoccio che manovrava mediante la tirata di un cordoncino, cantando la filastrocca «to-ro-to-te-la» e sorridendo alla generosità dei passanti.

Durante l’estate venivano gruppi di cinesi (alloggiavano all’albergo Cavattoni) e s’intrattenevano a Legnago per un buon mese. Uscivano verso mezzogiorno e prima di cena, quando il flusso della gente era maggiore, per vendere sgargiantissime cravatte. La loro vocina tagliente si spargeva per la via: «Tle clavatte per una lila». Suonavano tutti i campanelli delle case. Al mercato sostavano, durante la mattinata, agli angoli delle vie centrali; al pomeriggio sugli ingressi delle fabbriche; poi a sera li ritrovavi davanti il cinema o al «Paglia».

Fra i tanti personaggi del mercato ricordo il particolare canto di una giovane donna accompagnata da un uomo. Lei era alta, bruna, con un fiore nei capelli; cantava vicino al monumento o al fresco dei portichetti addossati al Torrione. Stavano in piedi in mezzo ad un gran cerchio di militari, contadini, massaie e domestiche. Fra una canzone e l’altra il suo compagno passava tra gli ammiratori a offrire fogli, gialli e color rosa, delle ultime canzoni: «Valencia», «Parlami d’amore Mariù»…

La continuità del mercato che affonda le sue origini in tempi lontani costituisce la garanzia per lo sviluppo maggiore. Anche perché, dopo sei secoli, il mercato di Legnago rimane sempre il più frequentato della Bassa.

Ernesto Berro


Mercato delle «seole»

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Oltre al mercato del sabato in piazza Garibaldi, a Legnago c’era anche quello delle cipolle e dell’aglio. Si teneva, come mostra la foto, in piazza Vittorio Emanuele II, ogni venerdì, da giugno a novembre. La più ricercata era la cipolla «ciozota», coltivata appunto dagli ortolani di Chioggia. (raccolta museo Fioroni)


Piazza Garibaldi nel 1900…

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Piazza Garibaldi di Legnago in un sabato 1900, durante il mercato. Gli acquirenti arrivavano dagli altri centri della Bassa col biroccino. (raccolta museo Fioroni)

…e la stessa piazza sabato

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Lo stesso mercato di piazza Garibaldi fotografato sabato scorso. Sono cambiati i vestiti, i prodotti, i volti della gente, ma l’importanza del mercato è inalterata. (foto Malaffo)