L’allomorfo dell’articolo determinativo dopo consonante nella tradizione letteraria italiana

di Giampaolo Donini

La distribuzione degli allomorfi dell’articolo determinativo maschile in italiano ha subíto alcune variazioni nel corso dei secoli. Gli accademici della crusca, fedeli all’ideale puristico ispirato alla lingua dei grandi autori toscani del Trecento, prescrissero per lungo tempo l’uso delle forme lo e (g)li dopo parola terminante in consonante: es. «per lo contrario».

Ma anche tra i puristi non si giunse mai a un accordo. È vero che nel Trecento «lo è usato di regola dopo consonante, specialmente dopo per e messer»¹, ma esistono eccezioni a questa regola perfino nelle opere delle cosiddette Tre Corone (Dante, Petrarca, Boccaccio).

… e quindi passai in terra d’Abruzzi, dove gli uomini e le femine vanno in zoccolo su pe’ monti… [Giovanni Boccaccio, Decamerone, sesta giornata, decima novella, edizione critica a cura di Vittore Branca, Firenze, «Accademia della Crusca», 1976, p. 434]

Lascio lo fele e vo pe’ dolci pomi
Promessi a me per lo verace duca
[Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto XVI, vv. 61-62; in altre edizioni «per dolci pomi…», lezione meno plausibile perché il sostantivo è seguito da un participio che ha la funzione di una relativa restrittiva. Tuttavia, si noti come la regola sia ripresa nel verso successivo.]

Piú che d’una regola grammaticale inderogabile, quindi, si può parlare d’una tendenza, come fa notare Luca Serianni: «Nell’italiano antico la distribuzione di illo era diversa da quella attuale, anche se non è facile stabilire regole sicure (e per i poeti c’è sempre da tener conto di ragioni metriche). Comunque, possiamo osservare che lo era molto più frequente di il all’inizio di frase o di verso e dopo parola terminante per consonante.»

Del resto, il dibattito sull’opportunità di usare lo e (g)li dopo consonante era vivo già nel Cinquecento, il secolo in cui si affermò il modello linguistico trecentesco. La codifica della distribuzione di illo fu fatta da Pietro Bembo nelle sue Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua:

Questo stesso, nell’un numero e nell’altro, è stato ricevuto ad usarsi dopo la particella PER: Per lo petto, Per li fianchi. Usasi l’uno ancora dopo la voce Messere, che si dice Messer lo frate, Messer lo giudice. [Pietro Bembo, Prose…, libro terzo]

Ma «la norma è lungi dal trovare il consenso generale»², se anche autori fiorentini come il Giambullari e il Guicciardini adoperarono forme come «per il che» e «per il contrario». Ciò nonostante, l’uso della forma forte dell’articolo dopo per (piú raro dopo ver, troncamento della preposizione verso, e messer) si diffuse e si consolidò nei secoli a seguire. Nell’Ottocento, Leopardi fu un ligio sostenitore della regola, tanto da considerare errore per il, ma il declino della regola è segnato.

Già agli albori dell’Ottocento, un autore rigorosamente aderente ai dettami del purismo come Carlo Botta non si perita di usare l’allomorfo il dopo per:

… e da un altro canto e’ cansavano destramente quelle regole e restrizioni per il mezzo del traffico di contrabbando. [Carlo Botta, Storia della guerra dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America]

Alla fine del secolo, della regola rimangono solo sporadiche tracce in autori particolarmente fedeli al linguaggio letterario tradizionale. Il Carducci usa entrambe le forme.


¹ Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, Milano, «Bompiani», p. 208.
² Ibidem, p. 354.